martedì 30 ottobre 2012

Antonio Langella, dai fasti di Cagliari alla "bella vita" di Bari: il tramonto di un figlio della Sardegna

Un giocatore salito alla ribalta negli ultimi anni e sparito nel nulla di punto in bianco senza lasciare alcuna traccia. Questa è la triste carriera calcistica di Antonio Langella, esterno d'attacco dello spumeggiante Cagliari di Gianfranco Zola e di mister Edy Reja. Dopo aver dimostrato tutte le sue qualità a livello nazionale Langella si è perso per strada concludendo di fatto la sua carriera a Bari, prigioniero di uno stipendio faraonico per le casse pugliesi e colpevole di aver sgarrato un po' troppo al di fuori del terreno di gioco.

Antonio nasce a Napoli nel 1977 ma è la Sardegna ad essere la sua vera "patria": Langella cerca di farsi spazio fra i dilettanti e nel frattempo, per mantenersi, svolge qualche lavoretto da muratore. Antonio di gavetta ne ha fatta tanta ma i sacrifici alla lunga verranno ripagati. L'esterno si fa notare con la maglia del Castelsardo squadra nella quale disputa cinque stagioni nel CND segnando con regolarità (alla fine il bottino totale sarà di diciotto reti). Il suo vecchio allenatore ai tempi della D, Antonio Mereu, sostiene che Langella fosse un ragazzo dal carattere difficile e istintivo. Tendeva ad ingrassare perchè mangiava senza contegno e non sembrava volesse cambiare abitudini di vita. Mereu, durante la permanenza di Antonio al Castelsardo dovette usare la forza per fargli capire certi concetti e dovette affrontarlo a muso duro. Evidentemente tutto questo è servito: Langella viene notato dagli osservatori della Sassari Torres che decidono di lanciarlo fra i professionisti nel 1999. Nella seconda squadra sarda il giocatore disputa due stagioni da urlo e il Cagliari decide di farlo suo. Nel 2011 esordisce in Serie B, ma la società isolana decide di parcheggiarlo altri sei mesi a Sassari in attesa di un'ulteriore maturazione. Sei reti in diciannove incontri convincono Cellino a riportarlo nel capoluogo sardo: e da quel momento Langella entra nella storia recente del Cagliari Calcio.

Nel 2002/2003 il vulcanico presidente del Cagliari mette a disposizione di Edy Reja una squadra solidissima. In porta c'è Pantanelli, in difesa ci sono Lopez, Festa e un giovane Loria in rampa di lancio, a centrocampo c'è Daniele Conti e gli esperti Albino e Brambilla. Ma è l'attacco ad essere il reparto migliore: Langella si ritrova a giocare con l'eterno "Magic Box" Gianfranco Zola, il fortissimo David Suazo e lo spumeggiante Mauro Esposito. Inutile dire che quella squadra centra immediatamente la Serie A. Langella arriva così ad esordire nella massima serie dopo una vita fatta di sacrifici: dopo tanti calci ad un pallone dati in campetti di terra battuta l'esterno sardo vede realizzato il suo sogno. 
Nella massima serie Langella si conferma ad altissimi livelli, tanto da conquistare anche la Nazionale. Il Cagliari vola nella parte medio-alta della classifica e Antonio ricopre un ruolo da protagonista all'interno dell'undici titolare. La sfortuna è però dietro l'angolo e nell'estate del 2007 "Arrogu Tottu" lascia per sempre la Sardegna. Fuori dalla sua terra non sarà più lo stesso

Dopo una bella stagione a Bergamo e dopo un anno in penombra a Verona sponda Chievo il presidente del Bari Matarrese decide di fare un regalo alla città e ai tifosi acquistando il trentaduenne ex Cagliari. I galletti pugliesi avevano sposato una linea economica volta al risparmio, ma per Langella la società non bada a spese: contratto da 700.000 euro l'anno e grandi speranze riposte nel giocatore napoletano. L'esterno, però, complice un rapporto non proprio idilliaco con il tecnico Giampiero Ventura e complice anche una presunta condotta poco sportiva al di fuori del terreno di gioco, non renderà ai suoi livelli e la società lo scarica. A Bari molti tifosi narrano delle sue scorribande nei locali del capoluogo pugliese e delle sue sfrecciate in macchina fra le vie del centro, sfizi che potrebbero averlo isolato dalle idee tattiche di Ventura. Le presenze totali in due anni di Bari saranno soltanto nove e nel 2010/2011, dopo non aver mai messo piede in campo, la sua avventura in Puglia volge al termine. Langella cerca in tutti i modi di restare a Bari: si spalma l'ingaggio, torna ad allenarsi dopo l'esonero di Ventura ma, alla fine, il giocatore è costretto a lasciare. Il rapporto con Ventura ha annientato tutte le speranze di Langella di poter mettere piede in campo e, suo malgrado, l'ha costretto anzitempo ad imboccare il viale del tramonto calcistico. Con il rimpianto di "quello che sarebbe potuto essere" ma che invece "non è stato mai". 

Nicolò Bonazzi

domenica 28 ottobre 2012

La storia di Andrea Mazzantini: un look stravagante, l'incidente e quella presunta tresca con la moglie di Gaucci...

Alla fine degli anni '90 la Perugia calcistica ha avuto la fortuna di conoscere un portiere proveniente dall'Inter dal look molto curato e dall'abbigliamento sportivo altrettanto stravagante che ha fatto la fortuna del Perugia di Serse Cosmi, affacciatosi alla Serie A dopo diversi anni di assenza forzata. Questo portiere si chiama Andrea Mazzantini, un felino fra i pali e dal comportamento amoroso galeotto fuori dal campo.

Nel gennaio del 1999 il presidentissimo degli umbri Luciano Gaucci corre ai ripari nella sessione invernale di mercato andando a comprare dall'Inter il trentunenne Mazzantini, vincitore di una UEFA come riserva di Pagliuca e con alle spalle soltanto due partite giocate in due campionati. Il portiere di La Spezia, dopo aver fatto tutta la gavetta in Serie C con Pro Patria, Sarzanese, Livorno e Spezia si fa conoscere ai grandi palcoscenici con la maglia del Venezia: tre stagioni giocate ad alto livello gli aprono le porte della società nerazzurra. Mazzantini rileva l'eredità di Angelo Pagotto e riesce ad entrare subito nel cuore dei tifosi: ogni qualvolta il portierone esce dal tunnel per entrare sul terreno di gioco del "Renato Curi" i tifosi del grifone lo acclamano a gran voce con cori e boati. Le sue prestazioni sul campo sono a dir poco convincenti: la sua caratteristica principale è la rapidità di movimento che gli permette di volare da un palo all'altro con una facilità disarmante. Mazzantini è sicuro di sè e riesce a trasmettere la sua tranquillità anche a tutto il pacchetto arretrato del Perugia. L'unica nota stonata riguarda la mise da gara: insieme ad una classica maglia da portiere in voga in quegli anni il "Mazza" optava per un paio di pantaloncini corti ed aderenti, tipici delle giocatrici di pallavolo. L'accostamento tra maglia e pantaloni era piuttosto discutibile ed è anche per questo curioso e simpatico motivo che Mazzantini entra nella memoria collettiva dei propri tifosi.

Il portiere, però, diventa famoso anche (e soprattutto) per un altro motivo, per una "voce di corridoio" mai realmente verificata. Fra le vie di Perugia si vociferava che Mazzantini avesse una relazione nascosta con la moglie dell'epoca del presidente Gaucci, Elisabetta Tulliani, ora moglie del leader di AN Gianfranco Fini. A dire il vero la liason non sembrava un gran segreto visto che la curva del Perugia era solita innalzare un coro che invitava l'ex Inter ad approfittare della presunta "libertinità" della moglie del presidente. Questa voce, però, non trovò mai alcun riscontro concreto

Voci "a luci rosse" a parte, a Perugia il "Mazza" raggiunge l'apice della sua carriera. Il portiere conosce la Serie A un po' tardi, ma quando inizia a "frequentarla" se la cava in maniera egregia. A Perugia diventa un'idolo ma la sua parte ormai l'ha fatta. Nell'estate del 2002 Mazzantini abbandona il Grifone e decide di trasferirsi al Siena. L'ombra di un certo Zeljko Kalac è troppo ingombrante e il giocatore risale la penisola facendo tappa in Toscana. Il destino, però, riserva per Mazzantini un brutto tiro mancino, uno "scherzetto" che lo costringerà ad appendere i guantoni al chiodo: un incidente stradale, infatti, gli provoca delle gravi lesioni ad un braccio. In un primo momento l'accaduto non sembrava poi così grave ma, alla fine, i medici si ricredono e le ferite lo costringono ad abbandonare il calcio giocato all'età di 34 anni. Un epilogo infelice per un portiere che avrebbe meritato di più di quanto raccolto. 

Nicolò Bonazzi

sabato 27 ottobre 2012

Il Pergocrema di Sergio Briganti: l'amicizia con Lotito, il sogno Serie B, i colpi di mercato e il fallimento

Da salvatore della patria a diavolo da combattere nel giro di dodici mesi: è questa la storia di Sergio Briganti, vulcanico presidente del Pergocrema che prima salva il club dal fallimento rilevando la maggioranza delle quote sociali dalle mani del vecchio proprietario Manolo Bucci, poi abbandona la nave a causa della crisi finanziaria che lo colpì direttamente. La storia del Pergo di Briganti è molto affascinante ma ha un finale tragico (sportivamente parlando): l'imprenditore romano si insedia alla fine di luglio del 2011, compra giocatori di alto livello per la categoria, stipula contratti che riuscirà a rispettare soltanto parzialmente e si crea situazioni a bilancio molto contorte che porteranno al fallimento della squadra e alla conseguente ripartenza dal campionato di Serie D. Una triste storia calcistica, un mix di forti emozioni, di speranze e di sofferenze emotive che merita di essere raccontato.

Tutti si ricorderanno che nello scorso girone B di Prima Divisione, per un breve periodo, il primo posto era stato occupato dal Pergocrema, squadra semi-sconosciuta della provincia di Cremona che, grazie all'azione della nuova proprietà, era riuscita ad allestire una rosa di tutto rispetto in tempi da record ed era riuscita a scalare la classifica e ad issarsi, come detto, in prima posizione. L'imprenditore romano Sergio Briganti si insedia ufficialmente nella società cremasca il 4 agosto 2011 venendo accolto come un eroe per aver salvato la squadra dal fallimento. Davanti, però, si ritrova una situazione pressochè disastrosa: i giocatori sotto contratto sono soltanto cinque e il florido settore giovanile non può costituire l'unica base su cui appoggiarsi per ripartire. Tuttavia, con tanta pazienza e con tanto entusiasmo la nuova dirigenza assembla una squadra molto solida: in panchina si siede l'ex Ternana e Salernitana Fabio Brini, in porta c'è Concetti, in difesa c'è Diaw Doudou e Fabbro, a centrocampo c'è l'esperto Romondini e l'ex Crotone De Vezze mentre la coppia d'attacco è formata da Guidetti e da Pià: non male per una squadra che soltanto pochi giorni prima stava per scomparire. All'ultimo giorno di mercato sfuma anche il "colpo del secolo", quello Stephen Makinwa che al Pergo avrebbe spaccato il mondo ma che non era intenzionato a ridursi l'ingaggio. I buoni intenti ci sono, peccato che Briganti si faccia prendere dalla frenesia e, alla fine, il presidente gialloblu tessera quasi trenta giocatori in due sessioni di mercato. Il Pergo diventa un supermercato con giocatori che vanno e giocatori che vengono: A gennaio arriveranno Yuri Tamburini, Joelson, Babù, Tortolano e altri giocatori che non faranno altro che aumentare le spese per la società gialloblu già oberata di debiti. I giocatori non percepiscono lo stipendio dal mese di novembre e i più giovani faticano a mantenersi tanto da dover andare ad abitare con i giocatori più "ricchi". 

E dire che la squadra parte molto bene: dopo qualche giornata i gialloblu sono al comando della classifica e ci restano per tre giornate. La piazza sogna qualcosa che nella realtà dei fatti sarebbe stato ingovernabile e proprio per questo la stampa cremonese vola basso. Briganti non ci sta, risponde picche perchè vuole fare tutto il possibile per regalare alla città una categoria mai vista ma che, alla luce dei fatti che si verificheranno, probabilmente non vedrà mai. Il Pergo perde colpi e scende in classifica, l'aria che si tira a Crema non è delle migliori e una volta arrivati a gennaio la squadra viene rifondata. Alla fine il Pergo riuscirà a salvarsi, ma l'epilogo estivo sarà tragico: Briganti decide di cedere la società perchè oberato dai troppi costi di gestione, ma il tempo stringe e gli acquirenti non si fanno vivi. I termini burocratici scadono, cominciano a farsi vedere i primi imprenditori ma il presidente romano non firma l'approvazione del bilancio e tutto slitta. Le prime cordate si bussano alla porta gialloblu ma, quando Briganti decide di lasciare Crema, ormai è troppo tardi. I tifosi cannibali si vedono retrocessi in Serie D e la loro squadra viene fusa con il Pizzighettone. Nasce la nuova Pergolettese con rinnovati stimoli e rinnovati ambizioni che però non cancellano un fallimento scottante e perfettamente evitabile.

Sergio Briganti lascia Crema dopo dodici mesi di colpi di scena, di entusiasmo, di gioie e di dolori. Imprenditore romano specializzato nel settore delle pulizie, Briganti è amico del presidente della Lazio Claudio Lotito e, grazie al legame con il numero uno biancoceleste, promette scambi di giocatori e appoggi provenienti dalla squadra capitolina. Se tutte queste buone cose ci sono state, a Crema non le ha mai viste nessuno. Solo nei primi mesi il Pergo è apparso una squadra ben organizzata e solida ma, da novembre in poi qualcosa è andato storto. L'entourage di Briganti si è lasciato prendere dalla situazione e, alla fine, il club è fallito trascinandosi con sé un anno rocambolesco fatto di buoni propositi mai effettivamente concretizzati.

Nicolò Bonazzi